Dicono che il dolore provocato dalle coliche di reni, per un uomo, sia più forte di quello di un parto. Non avendo mai fatto figli io non lo so, quello che so però, è che quei dolori sono veramente insopportabili. Vennero all’improvviso una mattina di febbraio. La diagnosi del dottor Gallia fu immediata. “Hai un calcolo ai reni”. La visita specialistica confermò la presenza di un minuscolo calcolo (circa 1 millimetro) che si trovava a metà strada tra il rene sinistro e la vescica. Se fosse riuscito ad arrivare lì, la sua espulsione naturale sarebbe stata certa anche se dolorosa. Bevvi ettolitri d’acqua per facilitare la sua discesa ma, purtroppo, nonostante alcune successive coliche che avvisavano della contrazione dell’uretere nei tentativi di far scorrere verso il basso quell’oggetto, non sembrava volersi muovere. Si era incastrato. Poi mi fu detto che, non riuscendo a venire giù da solo, avrei dovuto operarmi. Non si sarebbe trattato di una operazione invasiva in quanto, da poco tempo, era entrata in funzione una nuova apparecchiatura chiamata “litotritore” la quale, attraverso l’uso di onde acustiche mirate, avrebbe disintegrato quella cosa riducendolo in pezzettini talmente piccoli da scendere senza aiuto e senza problemi verso l’uscita naturale. Andava solo riposizionato all’interno del rene di provenienza! Come mi spiegò il professore che avrebbe operativamente gestito il mio problema, si trattava di un problema molto semplice e quindi facile da affrontare. In parole povere, dopo avermi addormentato, mi avrebbero infilato una specie di penna nell’uccello e, da questa, sarebbero usciti tre componenti. Una fibra ottica per il controllo visivo, un cannellino dal quale sarebbe uscito un liquido lubrificante ed una pinzetta con la quale, preso il calcolo, sarebbe stato delicatamente riportato al luogo di origine. Roba da matti! Dissi che non intendevo fare niente e la risposta fu” “Allora sappia che ha tre mesi di vita, perchè il rene diverrà nefritico e….”. Ok. Mi opero. Non essendo possibile fare l’intervento a Lucca, fui inviato alla clinica Donatello di Firenze. Alle 8 di mattina iniziò l’attesa che sarebbe durata fino alle 17,30 in quanto fui chiamato per ultimo! Venni portato in una piccola stanza nella quale era presente solo un lettino simile a quello usato per far partorire le donne. Fui spogliato nudo e con le gambe divaricate. Una gentile infermiera mi coprì con un lenzuolo verde dalla vita in su, e fui lasciato solo. Ricordo che davanti ai miei occhi c’era un Cristo con la testa reclinata da un lato. Gli dissi di non distrarsi e di guardare verso di me per tenere d’occhio quello che stavano per farmi. Dopo alcuni minuti entrò il Professore. Guardò nuovamente tutte le lastre e confermò che sarebbe stata una cosa da poco. Si spostò vicino al mio braccio destro e cominciò a farmi domande banali. “Che lavoro fa?”, “Dove abita?”, “Ha figli?”…. questa fu l’ultima domanda che ascoltai e alla quale non risposi perché mi addormentai istantaneamente! Dopo un tempo che non so quantificare iniziai a risvegliarmi a causa di un forte dolore al rene sinistro. Mi trovavo in una stanza non molto illuminata, ero immerso in una vasca piena d’acqua fino al collo, sentivo forti colpi secchi (circa uno al secondo) che procuravano dolore nella zona del rene sinistro, e, in ultimo, vidi un tubo nero che mi usciva dall’uccello e andava a finire dentro una macchina piena di interruttori e luci. Cominciai a lamentarmi e un’infermiera si avvicinò immediatamente toccando qualcosa alla mia destra. Ripiombai nel sonno più profondo possibile. L’evento si ripresentò dopo poco e, quasi contemporaneamente alle mie lamentele, quei colpi terminarono. L’infermiera si avvicinò, prese in mano l’uccello e, con l’altra, con una mossa fulminea, strappò, sfilandolo, quel cavo nero. Ricordo che, dopo una bestemmia, gridai: “L’uccello!!!!”. Fui tolto dalla vasca e riportato in camera. Mi misero un flebo e lasciarono la stanza. Dopo poco, svegliandomi sempre più, mi accorsi che mi scappava la pipì e l’infermiera mi portò il pappagallo. Dissi che lì dentro non ci avrei mai pisciato e provai ad alzarmi. Sia l’infermiera che Caterina provarono a dissuadermi ma non fu possibile. Non ricordo come ma, con qualcuno che teneva la flebo, andai in bagno. Pisciare fu molto doloroso. La sera mi venne poi una colica di vescica e, considerato che non stavo tanto bene, Caterina decise che avrebbe passato la notte sulla poltrona accanto a me. Il giorno seguente stavo benino e quindi decisero che sarei potuto andare a casa mia. Eravamo senza automobile ma, fortunatamente ci venne lasciata la Golf GTI del Matteucci (TIME) e Caterina mi fece da autista fino a Lucca. Qualche giorno di febbre e qualche indolenzimento al rene sinistro conclusero questa “avventura”. Il responso finale fu che si trattava di un calcolo episodico non dipendente né dalla mia costituzione fisica, né dal cibo. In futuro avrei avuto le stesse probabilità di chiunque altro ad avere una nuova situazione simile.
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