Facebook & C

Mi sono iscritto a Facebook nel 2008 e quindi, dopo un pò di anni, credo di essere nelle condizioni di poter valutare, soggettivamente, questo strumento. Aiutato da guide on line e amici molto ben preparati, ho cercato di capire il capibile e di provare il provabile, anche perché le impostazioni consentono innumerevoli personalizzazioni che ogni utilizzatore dovrebbe conoscere per usarlo con cognizione di causa. Il giusto approccio è ben concentrato in una semplice frase pronunciata da un'amica: “Io uso FB, non mi faccio usare da lui!”.

Innanzitutto deve essere sfatata la credenza che sia un “luogo” frequentato prevalentemente da giovani e giovanissimi. Le statistiche ufficiali dimostrano che gli utilizzatori più accaniti sono nella fascia di età da 30 a 50, ma anche intorno ai 60 anni la percentuale di utilizzo non è trascurabile. Nonostante la concorrenza di numerosi altri social, Facebook mantiene una supremazia assoluta e indiscutibile. Si può farne parte oppure no, dipende. Se la tecnologia ti spaventa, se non riesci a gestire un mouse, se non usi Internet e se non hai ancora un tablet o uno smartphone perché credi di non poter imparare, perché ti ritieni vecchio, perché pensi che non ti sia utile o perché ti piace andare contro corrente allora... va bene così, inutile parlarne. In caso contrario, specialmente se hai parenti o figli (e nipoti) con i loro account su Facebook, allora penso che chiamarsi fuori non sia la migliore scelta. Non è importante né richiesta una partecipazione attiva, è sufficiente restare ai margini e osservare dall'interno questo mondo cercando, non rifiutando, di partecipare e capire il “nuovo”.

Dalla sua nascita ad oggi questo social è cambiato moltissimo. Non giudico, né mi permetto di criticare gli usi o le opinioni diverse dalle mie, anche perché non intendo certamente rispondere alla domanda: “A cosa serve Facebook?”. Come potrei dare una risposta soggettiva su una piattaforma utilizzata da oltre un miliardo di persone? Ognuno è libero di usarlo come crede. Si può cercare amici, si può chattare, si può pubblicare foto, si può promuovere la propria immagine o la propria azienda, si può fare un sacco di cose. Mi limito a dare la risposta ad una domanda più concreta: “A cosa serve Facebook... a me?”.

Ho una semplice pagina con qualche decina di "amici" che abbiano un minimo di attinenza con la parola “amico”. Nonostante molti tentativi, con la sola esclusione di un paio di vecchie conoscenze che comunque in giro per la città incontro spesso, non sono riuscito a rintracciare nessuno dei compagni di merende del tempo delle mele. Per molti giovani di una volta, sicuramente a causa dell'età, gli strumenti tecnologici di oggi sono fuori portata e quindi una larga parte degli esseri umani non ha accesso a questo nuovo mondo. L'unica responsabilità nella creazione di questi due gruppi, e cioè “chi può”” e “chi non può”, escludendo ovviamente tutti i “chi non vuole”, è da ricercarsi nella velocità con la quale l'informatica ha invaso ogni campo dell'attività umana, modificando pesantemente anche i rapporti sociali e interpersonali.

Torniamo al “mio” Facebook.

Se devo scrivere qualcosa sotto il famoso: «A cosa stai pensando?», dopo un momento di imbarazzo, mi rendo conto di trovarmi in uno stato simile all'illuminazione buddista, la mia mente contiene il nulla. Per la verità, un piccolo flash del tipo “Ma cosa e a chi può interessare quello che sto pensando?” mi colpisce come un fulmine, ma è solo questione di un attimo poi... la mia testa si svuota e, nel profondo, ma ben in vista, resta un avviso in neretto: “Ricordati che Internet non dimentica mai!”.

“Quando si è giovani, si fanno errori e parecchie cose stupide”, ha detto il Presidente degli USA Obama agli studenti di un liceo. “State attenti a cosa pubblicate su Facebook, perché nell’era digitale qualsiasi cosa farete potrà essere tirata fuori in futuro e usata contro di voi”. I sondaggi mostrano che già il 35 per cento delle aziende rifiutano i candidati per le informazioni che trovano sui social network.



In questi anni, ad eccezione di qualche messaggio personale, ho commentato molto raramente, non ho mai usato il “Mi piace”, non ho “taggato” nessuno, non ho mai capito l'utilità del “Poke” e non ricordo di aver condiviso qualcosa né pubblicato molte foto. Di alcuni “amici”, abbastanza spesso, si può sapere dove sono o dove sono stati, cosa fanno o hanno fatto, cosa mangiano e a cosa pensano. A volte si leggono frasi in codice che deve capire solo qualcuno, ad ogni accesso mi becco un tardivo “Buongiorno” o una “Buonanotte” per quella passata, vengo avvisato dell'ennesimo cambio dell'immagine di copertina, dicono di essere “felici” o “preoccupati”, ricevono gli auguri per il loro compleanno, mi invitano a condividere “Io non voglio la guerra(!)” oppure a giocare ad un videogame, avvisano tutti di aver stretto “amicizia” con Pinco Pallino, scrivono frasi “filosofiche”, e pubblicano foto di ogni tipo. Meno male che, in mezzo a tante notizie che, dal mio punto di vista, sono usa e getta o troppo personali, ogni tanto arrivano post, video e foto veramente divertenti.

Visto che il paesaggio, ed il suo contenuto, con il passare del tempo non migliorava, ho deciso di non seguire quasi più nessuno e ricordando che spesso restavo colpito da frasi o immagini veramente divertenti, con qualche obbligatorio “Mi piace” ho iniziato a seguire un po' di queste pagine. Al momento, il tipo di umorismo e satira presente su Facebook, mi diverte e va bene così, poi si vedrà.

Una riflessione sulle foto. Ho letto che l'utente medio ne pubblica tre/quattro al giorno e quindi, in un anno, immette nel social almeno mille immagini. Dopo soli tre o quattro anni avrà un archivio contenente un po' meno di cinquemila foto! Se, fin dal primo scatto, non ha pensato ad una logica e valida organizzazione interna, sarà molto ma molto difficile recuperare e rivedere quella foto, fatta in quel momento, con quelle persone, in quel luogo. Esistono gli “album”, esiste la possibilità di ricerca sulla descrizione dell'immagine e sarebbe consigliabile anche un periodico backup... ma quanti lo sanno? Quanti sono in grado di predisporre in maniera logica grandi archivi fotografici? Mah! Tra l'altro, le attuali possibilità organizzative offerte per le foto e i video sono veramente poca cosa. Se non cambieranno in meglio, anche un buon “organizzatore”, prima o poi, si troverà in difficoltà.

E' innegabile che una buona parte degli utenti di Facebook abbia sviluppato una dipendenza compulsiva dal sistema, una dipendenza che non va bene e che dimostra come ci sia un uso, spesso patologico, della rete. Comunque, a parte gli aspetti che non sono di mio gradimento, sto valutando la possibilità di trasferire su Facebook tutti i miei video e album fotografici, da tempo già digitalizzati e presenti sul mio sito. Ovviamente avrò bisogno di tempo e poi saranno accessibili a una ristrettissima cerchia di persone perché, oltre a non capirne i motivi, non mi piace, nel modo più assoluto, condividere con “amici virtuali” immagini e situazioni familiari.

Continua a farmi un certo effetto vedere esseri umani camminare per strada a testa bassa con gli occhi sopra un piccolo schermo e le dita che battono velocemente su tastiere che sembrano progettate per gli asili nido! Allo stesso modo, seduto ad un ristorante o ad un bar, ma anche in vacanza al mare o in montagna, non riesco a restare insensibile nel constatare quanti preferiscono smanettare su oggetti diversamente colorati piuttosto che guardarsi intorno o parlare con chi sta accanto o seduto allo stesso tavolo. Si dice e si propaganda ai quattro venti che Facebook è uno strumento nato per socializzare... ma forse sono cambiati anche i significati di alcune parole.

Ricapitolando:

Domanda: A cosa serve Facebook... a me?
Risposta: Principalmente ad avere un duplicato digitale molto “riservato” e al sicuro - nel senso di non perdibile – dei moltissimi album cartacei delle mie foto dal 1971 (e anche molto prima) ad oggi. Inoltre, seguendo alcune divertenti pagine, lo utilizzo come un saltuario passatempo quando non ho niente altro di meglio da fare. Infine, quando mi sento un po' “guardone”, mi diverto a girovagare nelle pagine di quegli utenti che, malati di esibizionismo, pubblicano ogni ben d'Iddio senza rendersi conto di quanto possano anche apparire un po'... come posso dire? Ridicoli?

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Questo è l'indirizzo della mia pagina: https://www.facebook.com/enzopuc






Su Twitter, insieme ad altre 500 milioni di persone, sono presente dal 2012. Questo “social” non ha niente a che vedere con Facebook, è semplicemente tutta un'altra cosa. Si possono fare solo due attività: o scrivi qualcosa che (forse) leggerà qualcuno, oppure leggi quello che hanno scritto altri. Assomiglia molto ad un teatro virtuale dove ogni singolo intervento dell'attore consiste in un discorso lungo al massimo 140 caratteri anche se, nello stesso giorno, con foto o senza, ne puoi scrivere quanti vuoi. Non si può scegliere gli spettatori che avrai e non si hanno amici da invitare ad assistere alla nostra recita. Quindi, senza dilungarmi troppo, credo proprio che il tweet dell'uomo comune (la sua rappresentazione teatrale) sia come un urlo nel Sahara... ma chi vuoi che lo ascolti, chi pensi possa essere interessato ai suoi messaggi? Per esempio, i miei “follower” (i miei spettatori) si contano sulle dita di una sola mano e questo, semplicemente, perché non sono nessuno! E' ovvio che se fossi il Presidente del Consiglio, il centravanti della Nazionale di calcio o comunque una persona famosa ed in vista, avrei certamente un bel po' di pubblico in quotidiana attesa dei miei tweet. Scrivere frasi profonde e intelligenti o banali e scontate, non farebbe alcuna differenza: il mio teatro sarebbe sempre strapieno! Concludendo questa breve riflessione, se non sei un maniaco delle notizie in tempo reale, se non ti interessa seguire le newsletter di un'azienda o di una istituzione perché, magari, ti sono più che sufficienti le notizie e le informazioni che ottieni in altro modo, allora puoi fare a meno di questo social. In caso contrario, comunque... perché non provare?

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