Gli anelli della vita


L’uscita dalle elementari ed il conseguente abbandono dell’obbligo del grembiule nero coincise con un’altra crescita. Cominciavo proprio a diventare grande anche se il tempo sembrava non passare mai. Eravamo tutti nel chiostro interno della scuola media di San Ponziano in attesa di essere chiamati e smistati nelle varie classi quando arrivò la notizia che, in un incidente, era morto Fred Buscaglione. Era l’unico cantante che vedevo diverso dagli altri. “Guarda che luna” è una canzone che ha fatto storia. Ricordo benissimo che pensai a quale avrebbe potuto essere il tipo di incidente in cui sarei morto anch’io. La fine dell’esistenza non poteva che essere traumatica. Era l’età dell’immortalità o meglio dell’impossibilità a comprendere il concetto di morte se non legata ad un violento evento esterno che, comunque, ritenevo assolutamente impossibile. La mia sezione, anche questa volta, fu la “E” ma, con grandissimo dispiacere, mi ritrovai in una classe che non era nella sede centrale bensì in quella distaccata, molto più anonima, di Piazza San Micheletto. Nessuno mi avrebbe visto entrare e uscire da una vera scuola media! Un fabbricato appartato e cadente non poteva dare la sensazione di scuola. Addirittura mancava anche la scritta “Scuola Media”. Che fregatura! La porta d’ingresso non si trovava dove è adesso. E’ stata spostata. Prima era esattamente al centro delle cinque finestre che si trovano al piano superiore. Una doppia rampa di scale conduceva al primo piano sul quale si aprivano due aule esattamente uguali. La prima e la seconda “E”. L’ambiente era diverso. I nuovi maestri, chiamati professori, erano o apparivano molto più severi. La vera novità era che stavo nuovamente per cambiare amicizie. Questo non lo accettai e, anche se legai benissimo con gli altri, rimasi attaccato ai vecchi compagni di sempre ad esclusione di alcuni “nuovi” che, chi per un verso, chi per un altro, attirarono il mio interesse. Il mancino Giampaolo Bianchi, oggi famoso pittore, lo conoscevo benissimo sia perché eravamo stati insieme alle elementari sia perché abitava anche lui in Piazza San Francesco ma, essendo di famiglia “superiore” partecipava solo saltuariamente alla vita della nostra banda. Marco Pasega, un amico e un pittore ancora più grande, scomparso prematuramente e del quale conservo da qualche parte in soffitta tutta una serie di schizzi e disegni effettuati con lo stile che lo avrebbe poi reso famoso. Franco Faldini, l’ebreo riccone. Non si dava arie, non aveva manie di grandezza; era assolutamente normale anche quando arrivava a scuola, in macchina, accompagnato dall’autista. Forse abbiamo legato subito a causa del comune interesse per i trenini elettrici e, successivamente per le automobili. In ultimo voglio ricordare un altro alunno che si chiamava Sergio Sorbi. Non era benvoluto da quasi nessuno e veniva regolarmente deriso da tutti. A me la cosa dava molto fastidio. Vedevo bene e sapevo come gli altri che era e sarebbe sempre stato un 'diverso'. Non riuscivo a capire come questo poteva incidere così tanto nei rapporti interpersonali e non l’ho mai capito. Di tutti gli altri, come dei tre anni passati sui banchi di San Micheletto, ho solo ricordi vaghi se non per le tre volte che, andando a vedere i “cartelloni”, apprendevo, con il giusto distacco, che ero stato promosso con ottimi voti. Non mi sono mai meravigliato.

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