La casa dove sono nato è all’ultimo piano, d’angolo, in Piazza San Francesco al numero civico quattro. Dalle sei luminose finestre è possibile vedere sia la facciata della Chiesa in fondo alla piazza che la parte di strada che va verso la Madonna dello Stellare. La stanza da letto era rettangolare. Mi trovavo nella parte destra del letto matrimoniale dei miei genitori e le due finestre si trovavano una di fronte a me e l’altra, quella che guarda la facciata della chiesa, alla mia sinistra. Accanto, a destra, c’era il terzo letto nel quale generalmente dormivo ma, essendo piccolo e molto malato, mi era stato consentito l’uso del lettone. A sinistra, sulla stessa parete del lettone, c’era la porta di comunicazione con la camera da letto dei miei nonni mentre sulla destra, in fondo al mio lettino, era situata la porta di accesso alla sala. La bellissima Signora con un lungo cappotto color cammello entrò da lì. Pochi passi e si fermò esattamente tra me e la finestra di fronte. Mi dava fastidio la luce che proveniva dai vetri seminascosti da uno “stoino” perché mi impediva di guardare la scena come forse avrei voluto. In quella luce quasi irreale i contorni della persona erano sfocati e confusi ma vedevo perfettamente che al collo aveva qualcosa di strano che in seguito ho pensato che avrebbe potuto essere una stola di volpe. Quello che mi colpiva sopra ogni cosa era il pacchetto che teneva tra le mani e che sentivo che stava per essere trasferito nelle mie. La polmonite, mi hanno detto poi, in quei tempi non era uno scherzo anche perché la penicillina era stata inventata da troppo poco tempo e non fu facile reperirla, comunque, avendo poi superato il tutto, significa che qualcuno la trovò. Ricordo bene la grande preoccupazione dei miei che sicuramente pensavano molto al mio omonimo, fratello di mia madre, che alla mia stessa età morì di una malattia allora sconosciuta ma che avrebbe potuto essere quella che avevo allora io. La polmonite non sapevo neanche cosa fosse ma ricordo che ero enormemente incuriosito da quel pacchetto. Mia madre parlò a lungo con la Signora e si vedeva che c’era una grande forma di rispetto nei confronti di quella Sconosciuta. Non dovevo essere molto in forma perché dopo poco tempo, constatando la mia situazione, si avviarono verso il salotto. E il pacchetto? Prima di uscire dalla stanza la Signora si fermò, tornò indietro e disse:
“Ti lasciamo riposare, ma questo è per te. La mamma mi ha detto che adesso non lo puoi mangiare ma appena guarito….aspetta che te lo faccio vedere. Ti piace?”
Era meraviglioso! Una padellina nera completa di manico con un uovo fritto al centro tutto prodotto in cioccolato e crema e chissà quante altre leccornie da divorare! Una cretinata, un ricordo senza significato e quasi senza alcuna importanza se non che, questa scena è stata vissuta agli inizi di aprile del 1948! Avevo due anni e ricordo tutto perfettamente al punto di aver più volte stupito mia madre che, non convinta, a più riprese mi ha fatto domande trabocchetto per vedere e constatare ogni volta che il mio primo ricordo era reale.
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