Il telefono squillò poco prima di mezzanotte. Sentii mia madre dire che papà ed io saremmo andati al più presto. Era mio nonno materno che chiedeva aiuto perché non ce la faceva da solo ad alzare da terra nonna Gina che era svenuta un attimo prima di entrare nel letto. Ci vestimmo rapidamente e in pochi minuti arrivammo in Via delle Conce dove, da qualche anno, si erano trasferiti i miei nonni. Appena entrati in camera la vidi esanime per terra e fu sufficiente uno scambio di occhiate con Angelino per rendermi conto che non era svenuta ma morta. Mio nonno, aldilà del letto, chiedeva continuamente cosa avesse e perché non si riprendesse. Decidemmo che non era il caso dargli subito questa notizia e, per guadagnare un po’ di tempo venne chiamato il dottore al quale sarebbe poi toccato il triste compito. Papà mi prese in disparte e mi disse di andare a prendere mamma. Lui, intanto, gli avrebbe telefonato preannunciando il mio arrivo. Salii in macchina e dopo qualche minuto ero nuovamente sotto casa mia. Suonai il campanello e attesi. Mia mamma si affacciò alla finestra:
“Sei già qui? Un attimo che finisco di vestirmi”
“Mamma vai con calma, non avere furia”
“Ma che dici, devo fare presto, nonna sta male”
“Mamma, vai piano, tanto nonna è già morta”
Quando pronunciai la lettera “a” della parola “morta” mi resi conto di quello che avevo appena detto. Troppo spesso parlavo senza pensare e, contemporaneamente al mio ascoltatore, apprendevo insieme a lui cosa stavo dicendo. In seguito mi sarò ripetuto milioni di volte il concetto che prima di parlare si deve pensare ma su questo, e su altri punti, sono sempre stato più duro di una pigna.
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